
Simone Scimmi, Art Director & Graphic Designer con base ad Assisi, ha curato e realizzato il progetto “Flavour Safari” che abbiamo analizzato nella nostra rubrica “Etichetta vincente”. Abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con questo Designer dotato di una spiccata sensibilità grafica ed una notevole qualità di analisi.
LD: Ciao Simone, potresti introdurci il tuo lavoro?
SS: Sono un graphic designer e mi occupo di art direction per aziende e per istituzioni.
LD: Dove nasce il tuo interesse per il Graphic Design?
Nasce dal disegno. Da bambino avevo l’esigenza di mettere su carte le idee, dare forma alla mia immaginazione. Crescendo e appassionandomi all’arte, in particolar modo quella contemporanea, ho intrapreso un percorso di ricerca che mi ha portato a conoscere a fondo il mondo del disegno grafico, della percezione e della psicologia visiva.


LD: Cosa vuol dire progettare un’etichetta?
SS: Un etichetta è come la copertina di un libro. Introduce, racconta ciò che è il contenuto, trasmettendone non solo le qualità fisiche ma anche le qualità evocative. L’etichetta, spesso in pochi centimetri, è in grado di raccontare un intero mondo di sensazioni.

LD: Abbiamo parlato del tuo progetto per la “Jungle Food Company”, puoi raccontarci qualcosa di più?
SS: Il progetto nasce da una collaborazione a distanza. Come per molti progetti, non abbiamo mai avuto il piacere di conoscere Michael (fondatore di Flavoir Safari), con il quale però si è da subito instaurato un ottimo rapporto tramite email e call. La nostra proposta grafica ha da subito conquisto Michael e devo dire che non abbiamo incontrato particolari difficoltà. Aneddoto simpatico, virtuale purtroppo, è aver visto un post di Michael sorridente ad una fiera gastronomica con in mano un barattolo di Flavour Safari che offre un assaggio del prodotto ad altrettanti sorridenti Principe di Galles Carlo e a sua moglie Camilla Parker.
LD: Confrontandoti anche con clienti stranieri ci viene in mente di chiederti se l’approccio ad un cliente inglese e lo stesso di un cliente italiano o ci sono delle logiche progettuali diverse che entrano in gioco?
SS: Bella domanda. Lavoro molto con l’estero (Inghilterra, Norvegia, Francia, Giappone ecc.) e ho notato grande facilità nel gestire il flusso di lavoro. Gli incontri e gli scambi con il cliente sono finalizzati al far procedere funzionalmente il progetto e magari, data anche la distanza e alcuni limiti linguistici, ci si perde meno in chiacchiere. Devo dire però che lavorando con clienti italiani di livello internazionale non incontro particolari difficoltà. Da progettista bisogna essere in grado di tenere le fila del discorso e guidare il cliente di qualsiasi nazionalità esso sia. Poi il fattore umano fa sempre la sua parte.


LD: Cosa ne pensi dell’attuale scena della grafica italiana?
SS: Anche questa bella domanda. Noto grande esterofilia. Provengo da un percorso formativo attento alle questioni culturali legate al design e noto che la contaminazione è totale. Noto che la moda incontra facilmente il buon design e produce scenari fluidi in continua evoluzione. Le scuole di pensiero tradizionali vengono provocate da audaci art director e le regole vengono messe in discussione. Difficile fare un quadro generale della situazione italiana ma probabilmente non è questo il periodo in cui l’Italia detta le regole del good design. Sono comunque positivo e cosciente della grande qualità di tanti studi e progettisti italiani. Sono più preoccupato del livello della comunicazione che ancora vediamo per la strada. A differenza di molti paesi, in Italia non è chiaro che un’insegna, un poster, una vetrina sono parte dell’arredo urbano e che quindi sarebbe opportuno affidarsi sempre a progettisti competenti. A volte però proprio questa libertà produce cose inaspettatamente belle e originali con quel gusto vernacolare che distingue l’Italia nel bene e nel male.
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Simone Scimmi